San Donato Milanese 2001
Equilibri interiori
Testo di Alberto Fiz
Giuliana Fresco lavora proprio sulla persistenza, sugli aspetti immutabili di un’indagine fatta di pochi elementi essenziali e non si lascia condizionare dalle sirene di un’estetica giovane, alla moda o semplicemente edonistica. La sua età, del resto, le consente di osservare con distacco l’ossessiva ricerca del nuovo, intenso come “categoria dello spirito”.
Le sue opere prendono spunto da altri registri: hanno una precisa motivazione di carattere etica e nascono da un autentico sentimento di amore nei confronti dell’uomo e della natura.
“La mia pittura”, scrive Nicolas de Staël, “è fragile come l’amore”, un espressione che si potrebbe adattare bene alla ricerca di Giuliana Fresco.
L’amore è un termine ormai desueto nell’arte contemporanea e rischia di essere immediatamente identificato con la retorica decadente. Per giustificarlo, bisognerebbe far ricorso all’eros o al processo di manipolazione del corpo in relazione agli esperimenti di ingegneria genetica o alla clonazione. Anche l’amore è uno dei tanti tabù del nostro tempo dove l’arte ha subito con eccessiva rigidità, ciò che è politically correct da ciò che, invece, appartiene ad un universo passatista.
“Il mio mondo pittorico è l’uomo con le sue angosce, i suoi fantasmi, l’anelito al divino, il suo dolore. La figura umana (a volte strettamente compenetrata con il paesaggio, a volte richiusa nel suo isolamento) risulta scarnificata”, scriveva proprio Giuliana Fresco nel 1998, in occasione di una sua personale alla galleria Seno di Milano ribadendo con forza il fatto che lei non è e non vuole essere una semplice spettatrice degli accadimenti. Semmai, il suo scopo è quello di realizzare un’opera che nasca da un’emozione, da un desiderio autentico di essere nel mondo.
Ecco perché, quando si osservano i suoi dipinti, non ci si può limitare a considerazioni di carattere formale. Si tradirebbe lo spirito di un’indagine che tenta, coraggiosamente, di rappresentare la continua metamorfosi dell’essere e della natura in una visione di carattere panteistico.
La pittura di Giuliana Fresco è metaforicamente, proprio quell’oceano inquieto e mutevole, sempre diverso ad ogni istante dove si tenta di comprendere l’aspetto più intimo delle cose.
Squarci di luce improvvisi affiorano dalle sue pennellate espressioniste; la materia si addensa come lava che trabocca dal vulcano e le macchie di colore talora si espandono sulla superficie mentre in altre circostanze si trasformano in immagini. Sono opere dunque, che appartengono al nostro spazio interiore in cui forma e colore, natura e figura umana, ombre e luci, rappresentano una dimensione dinamica in una continua osmosi fatta di sovrapposizioni e velature.
I dipinti di Giuliana Fresco, del resto nascono da una complessa relazione di elementi e in nessun modo tendono alla rappresentazione del reale. Anzi, come ha notato Martina Corgnati, Giuliana Fresco realizza uno slittamento dal piano della realtà a quello pittorico in modo che i due aspetti non si confondano. “In molte opere articolate su più tele si sviluppa un vero e proprio gioco, tanto sottile quanto raffinato, fra le superficie reale, con la sua pertinenza ad un mondo di oggetti e di persone, il nostro mondo e la superficie illusiva del colore e del segno e dell’evocazione tutta “interna” alla finestra ancora costituita dal quadro. L’artista contamina continuamente e di proposito queste due dimensioni costringendo l’attenzione a spostarsi di continuo da una all’altra, fino a considerare entrambe ad un tempo, come elementi dialettici, pari integranti di una medesima complessità.